Sorpresa! Le classi ci sono ancora, non si sono dissolte con il solvente della modernità. Proletariato, classe operaia, borghesia, sottoproletariato… sono tutte lì. Un nuovo saggio del sociologo Luciano Gallino, in collaborazione con Paola Borgna che lo intervista (La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza), con il rigore scientifico che contraddistingue lo studioso, produce un fondamentale antidoto al pensiero unico liberista. Gallino afferma che la classe vincitrice dello storico conflitto sta conducendo una battaglia per annientare tutto ciò che nel passato era stato conquistato per migliorare il proprio destino e le proprie condizioni di vita dalla classe perdente: «La lotta di classe, oggi, è quella di chi non è soddisfatto del proprio destino, e vuole cambiarlo, e quella di chi invece è soddisfatto del proprio destino, e vuole difenderlo».
Partiamo dall’esistenza delle classi sociali, di cui nessuno parla più se non nei residuali enclavi marxisti leninisti…
Il primo capitolo del mio libro si intitola proprio: esistono ancora le classi sociali? La mia risposta è che se uno pensa alle classi sociali in termini di manifestazioni di piazza, grandi scioperi e partiti che fanno dell’esistenza delle classi il loro punto di riferimento se non la loro bandiera, allora si può essere condotti ad inferire, come fanno moltissimi, che le classi sociali non ci sono più, non esistono più. Ma se uno pensa in modo un po’ diverso, pensa cioè al destino delle persone, alla possibilità che le persone hanno di cambiare posizione sociale, alla qualità della vita, al potere di cui godono le persone per decidere su cose anche minime, oltre alle più grandi che riguardano la loro esistenza, allora è condotto inesorabilmente a concludere che le classi esistono oggi come non mai.
E’ un equivoco della modernità quello di pensare che le classi fossero “estinte”?
L’idea della non esistenza delle classi più che alla modernità è legata al progetto politico economico e culturale neoliberale che si è affermato a partire dagli anni ’80. Per quel progetto tutto è mercato, tutto è merce, tutto è scambio e gli individui appaiono uguali in quanto sono tutti soggetti allo scambio. Nello scambio scompare il potere e scompaiono le disuguaglianze; l’imprenditore e l’operaio sono due parti che si confrontano su un piano di perfetta parità. Questa però non solo è un’illusione ma è una vera e propria mistificazione, perché lo scambio non è affatto pari.
Viene subito in mente la trattativa governo sindacati sulla riforma del mercato del lavoro, dove l’ostinazione a voler cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ha un sapore fortemente ideologico.
Direi che in buona parte la determinazione del governo su questo terreno è proprio un obiettivo “di classe”. A noi ora può sembrare che questa sia la scoperta dell’ultima ora, magari dettata dall’esterno, dall’Europa, ma in realtà sono più di 30 anni che si insiste sul fatto che una maggiore flessibilità accresce le prospettive di lavoro, offre stimolo allo sviluppo e alla crescita e altre cose del genere. Eppure non c’è uno straccio di prova che dimostra questa tesi. Ciononostante è l’ideologia vincente, dominante, che l’ha fatto diventare un credo comune. Che si vada a chiedere ai diciottenni nelle scuole o agli anziani, la stragrande maggioranza è convinta che questa sia la società nella quale dobbiamo per forza vivere e nella quale se si licenzia più facilmente è più facile trovare lavoro.
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